Fino al 15 luglio si può firmare online per "Riprendiamoci il Comune". Ecco come fare
Fino al 15 luglio 2023 si può firmare online per "Riprendiamoci il Comune"
Fino al 15 luglio 2023 si può firmare online per "Riprendiamoci il Comune"
ATTAC - Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie e l’Aiuto ai Cittadini
Educazione popolare rivolta all’azione
Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua - Comitato Acqua Pubblica Torino
https://www.acquabenecomunetorino.org - Cell. 388 8597492 -
Oggi in piazza San Carlo, punto d’arrivo del corteo del Primo Maggio, le forze dell’ordine hanno cercato di impedire il posizionamento dei tavolini di raccolta firme della Campagna Riprendiamoci il Comune: www.riprendiamociilcomune.it.
Un’ordinanza, non hanno saputo dire se del Comune o del Questore, li vietava per ragioni di sicurezza. Non era mai successo a nostra memoria, una cosa simile e ci chiediamo quale malinteso concetto di sicurezza abbia partorito un ordine del genere, che priva i cittadini di un diritto in nome di chissà quale minaccia.
Se da un lato siamo contenti che finalmente questa volta il corteo si sia svolto senza cariche violente sui manifestanti, non possiamo però tacere sulla vicenda che ci ha coinvolti. Può sembrare una cosa minore, in fondo non siamo stati cacciati dalla piazza: potevamo raccogliere le firme in piedi (e magari anche su un piede solo e con un vaso in equilibrio sulla testa).
Da diversi anni è in atto una deriva repressiva portata avanti in nome della sicurezza. Di chi? Da cosa? E’ meglio che ce ne occupiamo prima che qualcuno decida che per il nostro bene è meglio stare a casa il Primo Maggio.
Torino, 1° maggio 2023
Mercoledì 28 marzo 2023 ore 18 a La libreria del Golem, Via Gioacchino Rossini, 21/c, Torino,
con Marco Bersani e la prof.ssa Alessandra Algostino (ordinaria di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Torino)
Come in un tempo sospeso, in questi ultimi quindici anni siamo passati da una crisi finanziaria a una crisi climatica, da una pandemia a una guerra, senza soluzione di continuità. Ciascuna di queste crisi viene raccontata come priva di contesto, come episodio a sé stante, senza antecedenti né causalità. Sembra di vivere dentro un eterno presente fatto di emergenze a cui rispondere, con l’angosciante sensazione che quella attuale non sarà l’ultima e che sembra essersi innescato un circolo vizioso, senza via d’uscita.
È giunto il momento di guardare la luna oltre il dito e ricostruire una chiave di lettura delle crisi multiple del capitalismo: se lette come insieme concatenato rivelano che la sua ferocia è dovuta alla propria intrinseca debolezza. Occorre superare il modello antropologico di riferimento dell’individuo razionale e autonomo sul quale si sono basate le riflessioni sulla società del contrattualismo di Locke, Hobbes e Rousseau per approdare a un nuovo modello che, partendo dalla relazionalità della cura, faccia emergere le diversità e un nuovo assetto della democrazia basato sull’inclusione.
Dopo decenni di indiscutibile ideologia del profitto, il paradigma della cura può diventare l’elemento di convergenza di tutte le culture ed esperienze altre: perché rappresenta ciò di cui c’è assoluto bisogno in un momento storico in cui è a rischio l’esistenza della vita umana sulla Terra e perché intorno a quel paradigma è possibile costruire una diversa società, che sia ecosocialista e femminista invece che capitalista e patriarcale; equa, inclusiva e solidale invece che predatoria, escludente e disuguale.
Introduzione di Mariangela Rosolen
Presentazione di Marco Bersani
Intervento della prof.ssa Alessandra Algostino
Dibattito
Immagine: Donne in Nero Parma
Mekorot è l’azienda pubblica che gestisce il sistema idrico in Israele e nei Territori Occupati dove pratica odiose discriminazioni nei confronti dei palestinesi nell’accesso all’acqua: 60 litri al giorno per un palestinese in Cisgiordania, 350 litri al giorno per un israeliano in Israele, 400 litri per un colono nei Territori, e nel costo del servizio: 30 shekel (6 euro) al metro cubo per i palestinesi, 3 shekel per gli israeliani.
Queste e altre denunce e testimonianze si susseguono da anni, ancor più forti e diffuse dopo l’annuncio dell’Accordo Iren-Mekorot del 10 gennaio scorso[1], a partire da CGIL CISL UIL Reggio Emilia: “Non può una società come Iren, unitamente alle amministrazioni comunali che la controllano, rendersi complice di una simile situazione che prosegue ormai da decenni”, e smentiscono quanto dichiarato da IREN al Manifesto “Questo protocollo e, in generale, tutte le attività che Iren intraprende prevedono un attento controllo del rispetto dei principi alla base della propria responsabilità sociale d’impresa[2].”
Una responsabilità sociale che Mekorot evidentemente non condivide né pratica e che risulta inconciliabile con le finalità del Comune di Torino, azionista al 13,8% di IREN, di “assicurare il diritto universale all'acqua potabile (…) riconoscere, anche al fine di tutelare le generazioni future, i beni comuni in quanto funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali della persona nel suo contesto ecologico (…) e di conformare la propria azione a criteri di: “cooperazione con enti pubblici e, riservando al Comune adeguati strumenti di indirizzo e controllo, con soggetti privati nell'esercizio di funzioni e servizi e per lo svolgimento di attività economiche e sociali; (…), cooperazione internazionale, le relazioni e gli scambi nazionali ed internazionali con gli altri enti locali[3].”
Finalità che vanno rispettate e fatte rispettare anche dalla società IREN partecipata dalla Città di Torino e dalle sue tre rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione dell’azienda, e tocca ai consiglieri/e comunali verificarlo.
I cittadini torinesi si aspettano che la verifica venga fatta al più presto e che le loro rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione di IREN chiedano la revoca del Protocollo d’Intesa in oggetto, o quanto meno la sua sospensione finché non sarà accertata la fine di ogni discriminazione nell’acceso all’acqua di tutti gli abitanti dei Territori Palestinesi Occupati.
Torino, 23 gennaio 2023
[1] https://www.gruppoiren.it/it/media/comunicati-stampa/2023/firmato-protocollo-intesa-tra-Iren-e-Mekorot.html
[2] https://ilmanifesto.it/contro-lintesa-iren-mekorot-ruba-acqua-ai-palestinesi
[3] V. artt. 2.n), q), e Art. 3.f), l) dello Statuto della Città di Torino
Il caso di Parigi: municipalizzazione dell’azienda dell’acqua e democratizzazione
estratto da:
Democratizing Public Services
by Anne Le Strat and Michael Menser
Rosa Luxemburg Stiftung New York Office
https://rosalux.nyc/democratizing-public-services/
Scarica la traduzione in italiano delle pagg. 37-60
L'intero documento in lingua inglese è disponibile nel sito Rosa Luxemburg Stiftung - NYC
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pagg. 37 - 60
Capitolo 2 – Il caso di Parigi: municipalizzazione dell’azienda dell’acqua e democratizzazione, la novità dell’Osservatorio
Questo capitolo tratta del cambiamento radicale delle politiche dell’acqua realizzato a Parigi e fondato sui valori di democrazia, giustizia e resilienza. Per comprendere appieno i pro e contro del processo di democratizzazione - che ha accompagnato la rimunicipalizzazione del servizio idrico parigino - bisogna collocare questa importante riforma nel contesto politico del tempo.[1]
La nuova configurazione politica del potere comunale
Nel 2001, per la prima volta dalla Comune di Parigi, un esponente della sinistra, Bertrand Delanoë (Partito Socialista) è stato eletto sindaco di Parigi. L’insediamento di una coalizione politica di sinistra (Socialisti, Verdi e Comunisti) ha rappresentato una svolta profonda. In precedenza solo la destra aveva regnato sull’amministrazione parigina, creando una rete di collusioni e legami tra le diverse sfere del potere, tramite rapporti con soggetti economici e politici basati su clientelismo, accordi sottobanco e lobbismo.
Quella svolta politica radicale è stata impersonata dall’arrivo dei nuovi eletti tra i quali molti giovani e donne. I Verdi, rappresentati per la prima volta in Consiglio comunale, erano il secondo Gruppo per numero di eletti. La coalizione era composta per la maggior parte da consiglieri alle prime armi, senza esperienza istituzionale, ma che si erano preparati nell’attivismo e nelle ONG. Creato nel 1984, quello dei Verdi in Francia è un partito giovane rispetto agli altri. Molti dei suoi promotori si sono formati nei movimenti di base, sociali e ambientali. E questo li ha resi portatori di una visione alternativa della società da far fiorire nelle stanze del potere. Una visione meno gerarchica e molto più aperta alla società civile e ai movimenti. Un approccio orizzontale che spiega perché il partito non si è dedicato soltanto ai problemi ambientali ma anche a quelli dei beni comuni, dei servizi pubblici e alla lotta contro il clientelismo.
Un modo diverso di intendere la politica, e di farla, che si è tradotto nelle nuove scelte politiche e nelle pratiche democratiche realizzate a Parigi. Molto ha contato il ruolo dei Verdi nella rottura con i programmi delle precedenti maggioranze di destra e nell’attuazione di quelli della coalizione di sinistra che hanno portato all’approvazione delle riforme comunali e in particolare alla lotta contro alcune lobbies industriali. Essa è stata resa possibile dai Verdi che non hanno mai preso soldi da organizzazioni private, tanto meno dai grandi gruppi e dalle multinazionali. Tutti gli altri partiti, che hanno avuto ruoli di potere a livello nazionale e locale, compreso il Partito Comunista, hanno goduto per decenni – in totale mancanza di trasparenza- dell’appoggio finanziario dei grandi gruppi privati, sia per le campagne elettorali sia per la normale gestione quotidiana del partito. Fino al 1988 non c’erano leggi in Francia sul finanziamento dei partiti, e la porta era aperta a ogni sorta di abuso.
Per fortuna, sono poi intervenute diverse leggi che hanno cercato di rispondere a casi certi di corruzione, fino al divieto, nel 2005, di donazioni ai partiti da parte delle imprese.
In ogni caso quelle pratiche avevano creato relazioni durature e legami di dipendenza tra la classe politica e il settore privato. E l’appoggio dei grandi gruppi ai politici non è cessato del tutto nemmeno oggi. Ora passa attraverso vari e diversi canali, a volta visibili e pubblici, a volte ai limiti della corruzione. Si possono citare i posti di lavoro offerti a politici sconfitti, o incarichi di rappresentanza, doni sotto forma di contributo finanziario a campagne di comunicazione o eventi organizzati dal Comune e altro. È innegabile che l’indipendenza finanziaria dei Verdi, fin dalla loro nascita, dai gruppi privati, dice molto sulla libertà dei loro rapporti con le multinazionali.
Nella classe politica francese i Verdi (ora Europe Ecologie-Les Verts) sono sempre stati in prima linea per la gestione pubblica dell’acqua, spesso da soli contro le grandi imprese. In Francia, hanno dato il più grande contribuito per deprivatizzare i servizi idrici, soprattutto come amministratori locali contro gli affidamenti alle multinazionali francesi. Il primo caso significativo di rimunicipalizzazione dell’acqua in una grande città è quello di Grenoble. Negli anni ’90 un consigliere comunale dei Verdi diede inizio a una lotta con l’allora sindaco di Grenoble, denunciandolo come responsabile di un sistema corruttivo che aveva portato alla privatizzazione dell’acqua nel 1989. Nel 1995 una nuova maggioranza Sinistra-Verdi decise di costituire una società mista per guadagnar tempo e gestire la controversia legale in atto.
Alla fine, dopo una vertenza giudiziaria di 5 anni e la condanna dell’ex sindaco a 5 anni di carcere, nel 2000 il Consiglio comunale ha approvato la totale rimunicipalizzazione ed è stata avviata la trasformazione in azienda a totale proprietà e gestione pubblica.
Acqua di Parigi : protagonisti e organizzazione
Per capire la rivoluzione che ha rappresentato la rimunicipalizzazione a Parigi, occorre aver presente che la situazione dell’acqua nella capitale rifletteva quella del settore idrico dell’intera Francia, con due grandi multinazionali dell’acqua come protagoniste: Veolia e Suez.